(Italiano) Caro direttore – 1

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Questo racconto è stato ispirato dalla vicenda di Giulio Regeni, giovane ricercatore friulano di Cambridge, assassinato in Egitto agli inizi di febbraio 2016. Puoi votarlo per il Premio Racconti nella rete 2017 all’indirizzo: http://www.raccontinellarete.it/?p=29298

 

#1

– E per quando servirebbe?

– …per ieri, come al solito!

Anche per telefono si sente il solito ghigno stupido di chi fa una battuta ripetuta troppe volte, che fa ridere solo lui.

– Eh eh, certo, allora per la chiusura.

– Grazie, ciao.

Chiudo e maledico il cellulare e quella condizione di freelance, il magico mondo in cui sei libera di lavorare a qualsiasi ora vogliano gli altri.

Sono le 7 di sera e in teoria avevo finito, anzi, stavo per finire di fare i compiti con Tania, mia figlia, e mio marito Antonio si stava appropinquando alla postazione di cucina per far finta, come al solito pure lui, di mettersi a cucinare. Ora mi tocca riaccendere il computer e inventarmi qualcosa su un caso drammatico e oscuro che dovrà aprire il giornale domani e che faccia vendere un bel po’ di copie, altrimenti non lavorerò né fuori orario né mai.

– Su cosa devi scrivere? – mi chiede Antonio, rassegnato a questa routine.

– Su Giulio Regeni, il ricercatore ucciso in Egitto, hai presente?

– Sì, certo. Un affare complicato, praticamente un incidente diplomatico non dichiarato.

– Esatto. Brivido, terrore, raccapriccio e intrigo internazionale. Ci vorrebbe Shakespeare, altro che me. E se non è commovente al punto giusto, è capace di cassarmelo pure e farmelo riscrivere in dieci minuti prima di andare in stampa.

– Tu sei bravissima, e il Bardo ti fa un baffo.

Odio quando dice così e fa pure quell’allitterazione compiaciuta. Accidenti a lui e alla sua adorata poesia inglese.

– Cosa vuol dire cassare? Sembra una parolaccia.

– No, stavolta non lo è. Vuol dire stroncare.

– Anche stroncare sembra una parolaccia.

– Uff…vuol dire rifiutare, ma sgarbatamente.

– Se rifiuti sgarbatamente allora usi le parolacce.

Inutile, i bambini hanno sempre ragione. E ora non ho tempo di controbattere, devo scrivere. Devo trovare il punto di vista.

Egitto. Allora: terra dei Faraoni, grande civiltà del passato, misera civiltà del presente, o tempora o mores, militari, Al Sisi (sembra La Sissi), occultamenti fatti da dilettanti, i servizi segreti non sono più quelli di una volta…

– Quanto deve cuocere il pollo, poi? Non me lo ricordo mai.

Grande popolo, grande paese, secondo paese più popoloso dell’Africa (90 milioni di abitanti…però, così tanti?). Mezz’ora, cazzo, MEZZ’ORA. Poi controlli la cottura. E taglia bene le patate. Crescono le patate in Egitto? Eh mica tante, infatti importano tantissimi cibi, il prezzo del grano se oscilla è un dramma. Controllo del cibo = controllo della popolazione. Come la tassa sul macinato.

– Mezz’ora. Poi controlli. E taglia piccole le patate altrimenti vanno messe prima quelle e poi il pollo.

Cosa faceva là? Faceva ricerca sociale sui sindacati egiziani, che sono pochi e piccoli ma resistono. Sacche di resistenza. Ottimo argomento per ricerche accademiche. Infatti era andato a farla a Cambridge (quella in Inghilterra). Italiani che si fanno onore all’estero, rischi della ricerca sul campo, ricercatori non fermi alla scrivania o topi di biblioteca, fuga di cervelli. Fuga precoce, poi, Collegio del Mondo Unito in Nuovo Messico a 16 anni, se ne sarà andato anche qualche volta nel Vecchio Messico? Visto che è lì, io un giretto lo farei. Magari avrà incontrato Saul e Heisenberg ad Albuquerque.

– Ho finito mamma. Mi manca solo qualche esercizio di divisione.

Cervelli che non ritornano, Italia paese immobile, piuttosto l’Egitto rischioso, anche se con una confortevole posizione a Cambridge è più facile correre rischi. Cosmopolitismo, amore per il sapere, i colleghi ricercatori hanno anche scritto una lettera aperta: bisogna proteggere i ricercatori, rischiano la vita sul campo e sono fondamentali per il sapere. Ma se ti manca qualcosa, allora non hai finito, miseriaccia. È come se dicessi al direttore: ecco l’articolo, manca solo il paragrafo finale. Me lo tira in faccia (via mail). Mail e social, in Medio Oriente sono strumento politico, bloccati spessissimo con scuse di ordine pubblico, e controllati (spiati). Però riescono a creare reti. Reti clandestine di contrari al regime, oppositori politici, sindacalisti, atei (pericolosi terroristi contro lo stato confessionale arabo), e terroristi (pericolosi paladini della religione che usano per portare terrore in occidente).

– Se ti manca qualcosa non hai finito. Hai quasi finito. Dimmi quando hai finito.

Lo so, ce li ho alle spalle ma li vedo. Mi stanno fissando intimoriti, hanno paura a farmi domande perché potrei urlargli contro. Quando scrivo sono così. Quando scrivo sotto pressione sono così. Sono così quasi sempre, e sono stufa, perché io non sono così. Io vorrei la pace nel mondo, gente che pensa a fare l’amore e non la guerra, famiglie felici e single felici. Ma il lavoro di giornalista non è questo, le storie devono essere forti, scandalose o almeno un po’ torbide. Le buone notizie sono piccoli riempitivi per dare l’illusione che ci sia una possibilità di miglioramento. Purtroppo non lo sapevo quando mi sono iscritta a scienze della comunicazione. Poi me l’hanno anche detto, ma illusa come sono non ci ho creduto.

– Non ce la faccio. Stavolta no. Non mi viene niente. Hanno già detto tutto, e finché non saltano fuori dati nuovi non ha senso scrivere altro.

 

[Continua… leggi il seguito nella parte #2]

 

[Foto: graffito di El Teneen nel quartiere di Prenzlauer Berg, Berlino]

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