Triage è una parola interessante perché molti non sanno cosa vuol dire e in questo mistero conserva ancora quel grado di brutalità e di politicamente scorretto che sembrano appartenere a un’epoca ormai lontana. Si occupa di definire un qualcosa che tutti a parole approvano ma spesso viene sconfessato o evitato nei fatti, ossia la procedura di scelta, cernita, selezione. Come tutti i fatti brutali, sembra quasi naturale cercare di esorcizzarlo tramite perifrasi, eufemismi o parole straniere. Di origine francese, nell’ultimo secolo è stata cooptata nel grande calderone dell’inglese globale, dove è stata confinata all’ambito medico e informatico. Il triage è uno dei tanti esempi di come le parole viaggino senza barriere e a dispetto dei continui tentativi di addomesticarle da parte dei decisori (che oggi sono chiamati policymakers), organismi vivi e dalle risorse insospettabili.
In Italia triage si usa poco a dire il vero, anche se lo Zingarelli lo registra dal 1992 e il Devoto-Oli perfino dal 1987 nell’ambito medico, visto che il suo uso principale è quello del triste cartello che vediamo campeggiare al pronto soccorso sopra o vicino lo sportello dell’accettazione. Che in effetti in America si chiama triage, a marcare la ruvida evidenza che anche nel male esistono gradi differenti di gravità.
Ma è proprio così?
Tuttavia, all’interno dei dizionari, anche in quelli anglosassoni, il referente di triage sembra qualcosa che ancora fa paura, ed è variamente definito come semplice “determinazione delle priorità” (Oxford English Dictionary, Collins, Zingarelli, Garzanti), o “la scelta, tra più pazienti, di quelli maggiormente bisognosi di cure” (Devoto-Oli), o tradotto come “preparazione di campioni di una derrata secondo la qualità” (Picchi), o lasciato semplicemente tal qual è (Ragazzini). La definizione migliore ci sembra quindi quella del Merriam- Webster, dizionario americano, il quale riporta come data di apparizione nella lingua inglese il 1918, non a caso l’ultimo anno della Grande Guerra, e ne dà una spiegazione che non credo serva tradurre:
The sorting of and allocation of treatment to patients and especially battle and disaster victims according to a system of priorities designed to maximize the number of survivors.
Ciò che gli altri dizionari non menzionano per pudore o supposta correttezza è proprio quest’ultimo pezzo: “to maximize the number of survivors”. Il triage è una scrematura grezza, crudele, a volte sommaria e certamente utilitaristica nello spirito, che si effettua quando è evidente che in una data situazione non tutti si possono salvare, e pertanto chi ha il potere di decidere è chiamato a esercitarlo e a scegliere chi può essere salvato e chi no. Si sa, à la guerre comme à la guerre. Ma ancora più illuminante è la seconda accezione, generale, che sempre lo stesso dizionario dà:
the assigning of priority order to projects on the basis of where funds and resources can be best used or are most needed.
Dalla sfera semantica della lotta tra la vita e la morte si passa all’economia e al mercato, in fin dei conti un ambito governato da leggi molto simili, cosa evidente fin dal linguaggio che si utilizza per parlarne: giocare in borsa, l’arena (o l’altalena) dei mercati, il nervosismo, le paure e l’euforia degli operatori, la competizione delle imprese, e così via.
Nei nostri tempi tormentati, si sente la mancanza di un uso politico del triage, sia come accezione lessicale sia come buona pratica. Come suggeriscono Berger e Zijderveld nel loro saggio Elogio del dubbio uscito per il Mulino nel 2011, dove ricorrono al concetto di triage per spiegare come il dubbio positivo e la riflessione senza pregiudizi possano essere istituzionalizzati all’interno di una moderna democrazia liberale in quella che chiamano politica della moderazione: un dibattito continuo in cui vengano prese in considerazione le varie posizioni su una data questione cercando di allentare le tensioni, favorire il dialogo e trovare punti di accordo su cui costruire le politiche. Gli autori si occupano principalmente della sfera etica e religiosa, ma suggeriscono che in linea di principio il triage si possa applicare su tutto. E soprattutto sulla scelta delle politiche da adottare da parte dei decisori in momenti in cui non ci sono risorse per accontentare tutti, riconoscendo che esistono cose che si possono fare e cose che, brutalmente, non ci possiamo permettere.
A proposito, come si traduce triage?
“Determinazione delle priorità” è la soluzione più comune e più precisa. Se si volesse rendere con una sola parola italianizzata, cosa che non va più molto di moda, si dovrebbe adattare –age nel corrispondente italiano –aggio (come aggiotaggio, vantaggio, lignaggio, derivati dal francese come triage). Quindi avremmo il breve e incisivo triaggio. È una soluzione all’antica e oggi si propenderebbe per un banale prestito, è vero, e forse non suona neanche benissimo. Ma a volte i vecchi rimedi, come le vecchie parole, sono i migliori.